CONTRIBUTO INCONTRO INTERNAZIONALE
Se proviamo a leggere la realtà che ci circonda ci accorgiamo che si stiamo assistendo allo sviluppo di profonde trasformazioni dal punto di vista della gestione del potere politico ed economico. Tali cambiamenti si riflettono anche a livello sociale. E’ necessario confrontarsi con le trasformazioni in atto e tenerne conto in quelle che sono le nostre analisi e prospettive di attacco.
Il capitale non è in crisi, ma più ‘semplicemente’ le scelte finanziarie degli stati hanno creato delle difficoltà nella tradizionale gestione del mercato e hanno prodotto, in generale, un peggioramento delle condizioni di vita dei consumatori cittadini. Le contraddizioni che il capitale ha sviluppato hanno contribuito a determinare in alcune zone delle occasioni di scontro, più o meno cruente e di lunga durata, fra i guardiani del potere e le sue strutture e quelle sacche di popolazione stanche di essere escluse dagli agi che il fasullo benessere delle società del consumo promettono.
Di fronte a ciò è naturale chiedersi che fare. Essere “qui ed ora” è infatti alla base del nostro desiderio di rottura violenta con ogni sistema di valori, con il capitale e le sue sfumature.
Nell’ambito di tali riflessioni e nella definizione di prospettive che possano orientarci nelle strade incerte ed inesplorate della rivolta crediamo sia necessario evitare di confrontarsi con la realtà con gli occhi insabbiati da quei facili entusiasmi che rischiano di far vedere insurrezioni ad ogni angolo, complici in ogni indignato, soggetti rivoluzionari in ogni sfruttato. Al tempo stesso crediamo sia altrettanto pericoloso rimanere ancorati ad una sorta di pessimismo realista che rischia di renderci immobili di fronte allo scorrere del tempo, di trasformarci in attendisti imprigionati in una logica di tipo determinista.
Ciò che riteniamo fondamentale è porsi in un’ottica di lucida osservazione che può consentirci di cogliere le trasformazioni in atto, individuare gli aspetti vulnerabili del nemico, per poter meglio valutare cosa e come attaccare.
In una condizione mentale e materiale in cui domina l’urgenza di esserci (e non di essere), cioè di definizione di un proprio ruolo all’interno di una possibile conflittualità diffusa, si rischia di perdere di vista la centralità della questione: la necessità di partire da sé, dalle proprie idee e prospettive anarchiche. Ecco dunque che in occasione di una rivolta spontanea il problema degli anarchici non è quello di cercare un ruolo tra altri ruoli, di trovare il modo per farsi accettare dagli altri, di risultare gradevoli o nascondere i propri veri desideri per catturare alleanze. Sarebbe semmai utile scegliere delle condizioni di attacco che impediscano un ritorno alla normalità, sperimentare l’agire che ci appartiene, trovare degli obiettivi che la spontaneità da sola può non essere in grado di trovare. Qualsiasi ipotesi insurrezionale è imprevedibile è indipendente da noi, ma come anarchici, in un’ottica di conflittualità permanente e di definizione di progetti insurrezionali possiamo certo dare un contributo fondamentale quando accade. .
Il problema che bisognerebbe porsi, secondo noi, non è tanto come relazionarsi alle possibilità di rivolta per strada, di lotte territoriali e/o specifiche che potrebbero radicalizzarsi e diffondersi, quanto come continuare ad agire e ad attaccare, in una dimensione pratica e teorica, alla luce delle trasformazioni in atto all’interno della società e dei meccanismi di dominio.
Analizzare le pratiche e i percorsi di lotta in relazione agli obiettivi è tappa fondamentale di un discorso volto ad individuare i limiti e le prospettive nella teoria e nella pratica della sovversione sociale. Per poter meglio toccare i diversi quesiti e proposte che intendiamo portare avanti in questa sede individuiamo in alcuni punti alcune delle argomentazioni che vorremmo portare all’attenzione dei compagni.
Crediamo sia urgente affrontare la questione delle modalità di comunicazione fra compagni. Il problema può essere affrontato distinguendo due aspetti, quello delle modalità con cui decidiamo di comunicare e quello del valore che riconosciamo agli strumenti che di volta in volta scegliamo di utilizzare. Nello specifico ci riferiamo all’uso della rete telematica e il modo con cui ci relazioniamo alla stessa. L’utilizzo da parte nostra degli strumenti, seppur in piccola parte, è un dato di fatto, ma questo non è di certo un elemento per il quale possiamo considerarli utili in caso di insurrezioni o strumento fondamentale nella definizione delle nostre prospettive o, addirittura, qualcosa di cui possiamo liberamente disporre.
I sistemi di comunicazione di tipo virtuale hanno avuto uno sviluppo incredibile all’interno delle società in cui viviamo negli ultimi vent’anni e permeano ogni giorno di più la realtà e il sistema di relazioni fra le persone. Non possiamo ignorare che tali sistemi siano lentamente entrati nelle nostre vite, condizionando inevitabilmente anche il nostro modo di rapportarci con gli altri, con ciò che ci circonda e con gli strumenti telematici stessi. Tutto ciò è accaduto nonostante ognuno di noi sia consapevole che l’irrealtà virtuale è funzionale al potere e ne è la forza.
Nell’ultimo decennio i metodi tradizionali con cui facevamo circolare le idee, come ad esempio giornali, volantini, manifesti, libri, si sono ridotti sensibilmente e la diffusione delle idee stesse è stata quasi totalmente delegata all’universo virtuale. E’ più che mai indispensabile tornare a rispolverare le vecchie forme di incontro e comunicazione fra compagni e sperimentarne di nuove, ma che siano soltanto nostre e non del nemico. Tornare ad incontrarsi e prendersi il tempo per farlo, cosa resa sempre più difficile dai ritmi imposti dalla vita moderna, ritmi che più o meno consapevolmente abbiamo fatto nostri.
Capita spesso di sentire qualcuno fare considerazioni sulla possibilità di sfruttare gli strumenti telematici in situazioni specifiche, ma trovarsi faccia a faccia con un uso pressoché quotidiano di internet, in particolare per lo scambio di informazioni e idee, ci ha mostrato quanto la realtà virtuale giunge a condizionare in modo negativo il modo di relazionarsi stesso. L’idea di un buon uso della realtà virtuale in una prospettiva rivoluzionaria non ci convince, crediamo infatti che prendere in considerazione una tale possibilità comporterebbe scegliere delle vie che non danno alcuna garanzia perché funzionali al capitale e gestite dal potere. La telematica e lo sviluppo tecnologico devono semmai essere potenziali obiettivi d’attacco.
Sabotare la produzione.
La macchina del capitale si alimenta grazie alle strutture di potere (burocrazie e istituzioni), meccanismi di repressione e di controllo (carceri, tribunali, forze militari e di polizia, sistemi di sorveglianza), al lavoro, al consenso, alla produzione. La critica
radicale e le prospettive di attacco devono quindi svilupparsi su più livelli, da un punto di vista sia teorico che pratico. Nello specifico il sistema di produzione e consumo è ciò che lega ed incatena direttamente gli individui al capitale e alle sue sfumature. La creazione di falsi bisogni determina la sottomissione, più o meno consapevole, allo sfruttamento nel lavoro, alle logiche di colonialismo economico. La produzione di energia, i complessi industriali e di fabbrica più o meno delocalizzati, la diffusione della merce sono alla base del funzionamento di questo mondo.
Ed è proprio in questa direzione che bisogna agire, senza aspettare che quel muro di mercificazione, che si sta infiltrando in ogni aspetto dell’esistenza, ci crolli inesorabilmente addosso, mentre proviamo a scalfirlo mirando alla superficie e non alle fondamenta, seppellendo ogni possibilità di tentativo futuro di attacco. Acquisire, scambiare e diffondere informazioni, pratiche e teoriche, in merito al reperimento e all’utilizzo di strumenti e conoscenze è uno degli aspetti che crediamo sia indispensabile discutere e sviluppare.
Possiamo porci degli interrogativi su come agire e come attaccare, ma è altrettanto importante chiedersi contro cosa agire e quali gli obiettivi da individuare, puntando sull’iniziativa piuttosto che rinchiudersi in una logica di risposta. Ciò che ci circonda pullula di luoghi attraverso i quali il capitale prolifera. Luoghi che sono nati o mutati radicalmente negli ultimi decenni. Facciamo, brevemente, un esempio, col quale mettere facilmente in evidenza alcuni dei cambiamenti ai quali facciamo riferimento. Si pensi alla differenza che c’è fra degli archivi cartacei e i database. In passato il rogo di documentazione all’interno di un ufficio anagrafe, del lavoro, di un grosso complesso industriale poteva essere un’azione distruttiva concreta. Oggi no, le informazioni, i dati d’archivio vengono conservate nei database, in piccoli strumenti elettronici, scorrono lungo chilometri di cavi. Non è forse necessario tenerne conto? E’ non è forse palese che i cambiamenti che il nemico sono stati radicali e non si posso ignorare, ma è necessario approfondirli e conoscerli?
Non vogliamo in questa sede fare un elenco di quelli che possono essere possibili obiettivi di attacco, preferiamo lasciare ad ognuno la fantasia nella ricerca e la creatività nel definire le proprie prospettive di rivolta.
Un altro punto sul quale ci interessa puntare brevemente l’attenzione è la dimensione internazionale che credo debba assumere o tornare ad avere la prospettiva insurrezionale. Occasioni come questa consentono di vedersi, di discutere, di confrontarsi fra compagni provenienti da diversi posti, e devono costituire un punto di partenza per l’approfondimento di relazioni future, laddove nascono e si desidera approfondirle. Ma la possibilità di stringere rapporti individuali o fra diverse realtà non è l’obiettivo finale, ma un presupposto e un aspetto della dimensione internazionalista alla quale aspiriamo. Avere dei rapporti con i compagni che vivono all’estero o scambiarsi materiale e conoscenze da solo non basta, occorre anche che ognuno di noi sappia proiettarsi in un ottica di osservazione ed azione che superi i confini territoriali.
Per spiegarci meglio. Pensiamo a ciò che è accaduto in Grecia negli ultimi anni, l’insurrezione di dicembre, mille attacchi disseminati su tutto il territorio, conflittualità ripetuta con le forze dell’ordine e vari simboli e luoghi di potere, saccheggi nei supermercati e tante altre azioni che ci hanno scaldato il cuore e infuocato gli animi. Fuochi che però raramente sono traboccati dai nostri animi e hanno assunto una dimensione di concretezza. Le ragioni sono diverse e differenti l’una dall’altra. Mancanza di contatti? Una realtà troppo lontana dalla nostra? Condizioni interne difficilmente decifrabili? Notizie sporadiche e spesso esclusivamente legate alle fonti di regime? Di certo si, sono ragioni che probabilmente hanno pesato. Ma prima fra tutte, ad essere determinante, è stato il fatto che non eravamo, e non siamo, preparati e quindi incapaci di cogliere delle occasioni. Riuscire a portare fuori dai confini greci una conflittualità permanente e degli attacchi mirati, essere capaci di comprendere le contraddizioni che il capitale sta sviluppando un po’ ovunque, essere in grado di contrattaccare avendo a disposizione informazioni e strumenti sviluppati in precedenza, avrebbe potuto fare la differenza. E’ anche riflettendo su questa occasione mancata, ma se ne potrebbero citare molte altre, che si può comprendere quanto sia necessario avere la capacità di volgere lo sguardo aldilà delle cose che stanno nel breve raggio attorno ad ognuno di noi ed essere pronti, essere preparati.
Nell’urgenza di voler esserci, nella smania di partecipare alla possibilità del dilagare dell’indignazione si rischia di smarrirsi fra le
provocazioni del capitale e le traiettorie di strade che non ci appartengono. Non abbiamo un mondo da salvare, né coscienze da
conquistare, né verbi da diffondere. Seppur sia fondamentale una creatività che determini anche l’imprevedibilità, le prospettive e gli obiettivi non devono essere tirate fuori da un qualche magico cilindro, non ci si può svilire in una ossessiva ricerca di ruoli, numeri e presenze. E’ tuttavia importante l’esplorazione di nuovi sentieri di attacco, l’esplorazione di nuovi mezzi, strumenti e tecniche in relazione non solo agli obiettivi, ma ai contesti e alle forze disponibili.
Esistono infinite possibilità di intervento in senso critico e distruttivo rispetto alla realtà che ci circonda, e in tal senso riteniamo importante estendere e diversificare le pratiche di conflitto tentando di renderle, di volta in volta, riproducibili.
Palermo, 31 ottobre
*** English ***
Contribution to the international anarchist encounter
When we try to read the reality that surrounds us we realize that we are assisting to a development of profound transformations when we look at the management of economic and political power. Such changes are also reflected on a social level. It is necessary to confront ourselves with the current transformations and to take them into consideration in relation to our analysis and prospective of attack. Capital is not in crisis, but more ‘simply’ the financial choices of the states have created some difficulties in the traditional management of the market and have produced, in general, a worsening of conditions of existence in the life of consumer citizens. The contradictions that capital has developed have contributed to determine some zones and occasions of conflict, more or less brutal and of longer or shorter time span, between the guardians of power and its structures with those pockets of population that have had enough with being excluded from the comforts that the fake well-being of societies of consumption have permitted. Looking at this situation it is natural to ask ourselves what to do. Being “here and now” is in fact at the basis of our desire of violent rupture with all systems of values, with capital and its many variations. Within such reflexions and within the definition of perspectives that can guide us through uncertain and unexplored paths of revolt we believe it necessary to avoid confronting ourselves with reality through eyes silted by easy enthusiasms that risk leading us to look at insurrections from every angle, accomplices in every occupier, revolutionary subjects in all exploited. At the same time we believe it is equally dangerous to remain anchored in a kind of realist pessimism that risks paralyzing us before the passage of time, of transforming us into permanently awaiting, trapped in a determinist logic. What we believe to be fundamental is to place ourselves in an optic of lucid observation that could allow us to grasp the current transformations, identifying the aspects which are vulnerable to our enemy, to better aim towards how and what to attack.
In a mental and material condition that is dominated by the urgency of being there (and not of being), as a definition of our own role within a diffused conflictuality, we risk to loose sight of the central point in question: the necessity of starting from ourselves, from our own anarchist ideas and perspectives. Then, during a moment of a spontaneous revolt the problem of anarchists is not that of searchings for a role among other roles, of finding a way to be accepted by the others, to be agreeable or
to hide our own real desires, just to tie alliances. It would be a lot more useful to choose conditions of attack that hinder a return to normality, experimenting in the acts that belong to us, finding targets that spontaneity alone is not able to find. Any insurrectional hypothesis is unpredictable and independent from us, but as anarchists, in a perspective of permanent conflictuality and of definition of insurrectional projects we can certainly give a fundamental contribution to what is going on.
The problems that we should confront ourselves with, is not so much how to relate to the possibilities of revolt in the streets, of territorial and/or specific struggles that could become radical and widespread, but more how to continue to act and attack, in both a practical and theoretical dimension, in the light of the current transformations within society and the mechanisms of domination.
Analyzing the practices and the paths of struggle in relation to the objective is the fundamental step of a discussion aimed towards individuating the limits and the perspectives of the theory and the practice of social subversion. To be able to better touch on the different questions and proposals that we intend to put forward on this occasion, we would like to bring certain argumentations to the attention of comrades.
We believe an urgent matter to confront the question of the ways of communication among comrades. The problem can be faced distinguishing two aspects, that of the ways with which we decide to communicate and that of the value that we give to the tools that each time we choose to use. Specifically, we are referring to the use of the internet and the way we relate to it. Our own use of these tools, even within limits, is a given fact, however this is certainly not a factor from which we can consider them useful in the case of an insurrection or a fundamental tool in the definition of our prospective, or, more, something which we can dispose of as we please.
The systems of virtual communication have had an enormous developments within the society we live in over the last twenty years and permeate every day more in the reality and in the system of relations between people. We cannot ignore the such systems have slowly entered our lives, inevitably conditioning also our way of relating with others, with what surrounds us and with the mediums of communication themselves. All of this happened in spite of our awareness that virtual irreality is functional to power and it is its force.
Over the last decade the traditional methods through which our ideas circulated, such as newspapers, brochures, flyers, poster and books have been severely reduced and the spreading of ideas has been almost entirely delegated to the virtual universe. More than ever it is indispensable to return and brush up the old forms of encounter and communication between comrades and experiment with new ones, ones that are only ours and not of the enemy. Returning to meeting each other and taking the time to do so, something that is more and more difficult given the daily rhythm imposed by modern life, rhythms that more or less consciously we have made our own.
It often happens to hear someone making statements around the possibility of using computerized tools in certain situations, however finding ourselves face to face with a practically daily use of the internet, particularly through the exchange of information and ideas, has shown us how much virtual reality has been able to condition in a negative way the current way of building relations. The idea of a good use of the virtual reality in a revolutionary perspective does not convince us, in fact we think that taking into consideration such a possibility would entail choosing paths that give no guarantee, given that they are functional to capital and the management of power. Computerization and technological development have to perhaps be potential targets of attack.
Sabotage of production.
The machine of capital is fed by structures of power (bureaucracies and institutions), by mechanisms of repression and control (prisons, courthouses, military and police forces, surveillance systems), by work, by consensus, by production. Radical critique and the perspective of attack have to therefore develop on many levels, both through theory and through practice. Specifically the system of production and consumption is what binds and chains individuals to capital and all its variations. The
creation of false needs determines submission, more or less conscious, to the exploitation of work, to the logics of economic colonialism. The production of energy, industrial complexes and more or less displaced factories, the spreading of merchandise are at the basis of the functioning of this world.
And it is precisely in this direction that we need to act, without waiting that this wall of commodification, which is seeping into every pore of our existences, collapses on top of us, while we are busy scratching away on the surface and not at its foundation, burring any future possibility of attack. Gaining, exchanging and spreading information, practical and theoretical, in regards to the retrieval and the use of tools and knowledge is one of the aspects that we believe is indispensable to discuss and develop.
We can ask ourselves questions about how to act and how to attack, but it is equally important to ask ourselves against what to act and which targets to take into consideration, aiming towards the initiative rather than locking ourselves up in a logic answer. What surrounds us is swarming with places through which capital proliferates. Places that were born or were transformed over the last decades. We can, briefly, make an example, with which it is easy to highlight some changes we are referring to. Let’s think about the difference there is between paper archives and databases.
In the past the past, burning the documentation of a registry office, of a workplace, of a large industrial complex could be considered a concrete destructive action. Today, not. Information and the information of an archive are preserved in their databases, in minuscule electronic devices, and run along thousands of kilometres of cables and wires. Is it not perhaps necessary to take this into account? Is it not perhaps obvious that the changes of the enemy have been radical and cannot be ignored, and therefore it is necessary to get to know them better and deeper? On this occasion we do not want make a list of what could possibly be considered targets of attack, we prefer leaving these matters to the imagination of the research and the creativity of one’s own definition of prospectives of revolt.
An other point that we are interested to briefly discuss is the international dimension that we believe an insurrectionalist perspective should assume or return to. Occasions such as this one allow us to meet, discuss, confront each other with other comrades from different places, and need to constitute a starting point to the deepening of future relationships. However the possibility to make these bonds on an individual basis or among realities from different places should not be the final end, but an excuse and an aspect within the internationalist dimension to which we aspire to. Having relations with comrades who live elsewhere is not enough, it is necessary that each one of us knows how to project ourselves in an optic of observation and action that goes beyond territorial boundaries. To explain ourselves better, let’s take as an example what happened in Greece over the last years, the insurrection of December, the thousands of attacks spread over its entire territory, the repeating conflictuality with the police forces as well as various symbols and structures of power, the looting of supermarkets and many other actions that have warmed our hearts and fired our souls. Fires, though, that rarely spilled over our souls to assume a concrete dimension.
Reasons can be different one from the others. Lack of contacts? A reality too far removed from our own? Internal conditions hard to decipher? Sporadic news that often is exclusively linked to sources of the regime? Of course these are reasons that probably weighed in. But first among all, the most determining one, was that were were not, and are not, prepared and therefore incapable of seizing the occasion. Managing to export from the greek borders a permanent conflictuality and targeted attacks, being able to understand the contradictions that capital is developing a bit everywhere, being able to counter-attack having at our disposal tools developed beforehand, could have made the difference.
It is also through reflecting on this missed occasion, of which we could mention many more, that we can understand how much it is necessary to have the capacity to see beyond the few things that are in our short range of view and to be ready, to be prepared. In the urgency of wanting to be there, in the excitement of participation in the possibility of spreading indignation we run the risk of losing ourselves between the provocations of capital and the trajectory of roads that don’t belong to us. We don’t
have a world to save, neither consciences to conquest, nor verbs to spread.
Even though a creativity that also determines the unpredictable is quite fundamental, the perspectives and the objectives should not be pulled out of a magic hat, we cannot debase ourselves in an obsessive search for roles, numbers and head-counts. It is nonetheless important to explore new paths of attack, explore new means, tools and techniques in relation not only to objectives, but also tacking into consideration contexts and available forces.
Infinite possibilities of intervention exist in a critical and destructive sense against the reality that surrounds us, and in such a sense we find it important to extend and diversify the practices of conflict attempting to make them, time after time, reproducible.
Palermo, 31 October.
*** français ***
Contribution à la rencontre internationale anarchiste
Lorsqu’on essaie de lire la réalité qui nous entoure, on se rend compte qu’on est en train d’assister au développement de transformations profondes du côté de la gestion du pouvoir politique et économique. De tels changements se répercutent également au niveau social. Il est donc nécessaire de se confronter aux transformations en cours, et d’en tenir compte dans nos analyses et nos perspectives d’attaque.
Le capital n’est pas en crise, mais, plus « simplement », les choix financiers des Etats ont créé des difficultés dans la gestion traditionnelle du marché, et ont produit, en général, une aggravation des conditions de vie des consommateurs citoyens. Les contradictions développées par le capital ont contribué à déterminer des occasionsd’affrontement dans certaines zones, plus ou moins sanglantes et à long terme, entre d’un côté les gardiens du pouvoir et ses structures, et de l’autre ces franges de la population lassées d’être exclues du confort promis par le faux bien-être de la société de consommation.
Face à cela, il est naturel de se demander quoi faire. Etre présents « ici et maintenant » est en effet à la base de notre désir de rupture violente avec tout système de valeurs, avec le capital et ses différentes facettes. Dans le cadre de ces réflexions et dans la définition de perspectives qui puissent nous orienter sur les chemins incertains et inexplorés de la révolte, nous pensons qu’il faut éviter de se confronter à la réalité avec des yeux remplis d’enthousiasmes faciles qui risquent de nous voir faire des insurrections à tous les coins de rue, des complices dans chaque indigné, des sujets révolutionnaires dans chaque exploité. En même temps, nous pensons qu’il est tout aussi dangereux de rester ancrés dans une sorte de réalisme pessimiste qui risque de nous immobiliser par les temps qui courent, de nous transformer en attentistes emprisonnés dans une logique de type déterministe.
Ce qui nous semble fondamental, c’est de se placer dans une optique d’observation lucide qui peut nous permettre de saisir les transformations en cours, d’identifier les aspects vulnérables de l’ennemi, afin d’évaluer au mieux quoi et comment attaquer.
Dans une condition mentale et matérielle où domine l’urgence d’en être (et non d’être), c’est-à-dire de définir son rôle à l’intérieur d’une possible conflictualité diffuse, on risque de perdre de vue la centralité de la question : la nécessité de partir de soi, de ses propres idées et perspectives anarchistes. Lorsqu’éclate une révolte spontanée, le problème des anarchistes n’est donc pas de chercher un rôle parmi d’autres rôles, de trouver la manière de se faire accepter par les autres, d’être agréables ou de cacher ses véritables désirs pour tisser des alliances. Il serait plutôt utile de déterminer des conditions d’attaque qui empêchent le retour à la normalité, d’expérimenter l’agir qui nous appartient, de trouver des objectifs que la spontanéité n’est à elle seule pas en mesure de trouver. Toute hypothèse insurrectionnelle est imprévisible et indépendante de nous, mais en tant qu’anarchistes, et dans une optique de conflictualité permanente et de définition de projets insurrectionnels, nous pouvons par contre donner une contribution fondamentale lorsqu’elle se produit.
Le problème qu’il faudrait selon nous se poser, n’est pas tant comment se relier aux possibilités de révoltes dans la rue, de luttes sur un territoire et/ou spécifiques qui pourraient se radicaliser et se diffuser, mais plutôt comment continuer à agir et à attaquer, de manière pratique et théorique, à la lumière des transformations en cours à l’intérieur de la société et des mécanismes de domination.
Analyser les pratiques et les parcours de lutte par rapport aux objectifs est une étape fondamentale dans un discours visant à identifier les limites et les perspectives dans la théorie et la pratique de la subversion sociale. Afin de mieux toucher les différentes problématiques et propositions que nous voulons affronter ici, identifions quelques points et quelques sujets que nous voudrions porter à l’attention des compagnons.
Nous pensons qu’il est urgent d’aborder la question des modalités de communication entre compagnons. Le problème peut être affronté en distinguant deux aspects, celui des manières avec lesquelles nous décidons de communiquer, et celui de la valeur que nous accordons aux instruments que nous choisissons à chaque fois d’utiliser. Nous faisons en particulier référence à l’utilisation du réseau télématique [applications associant les télécommunications et l’informatique comme par exemple internet, NdT], et le rapport que nous entretenons avec lui. Notre utilisation de ces instruments, même de manière secondaire, est une donnée de fait, mais il n’en reste pas moins que ce n’est certainement pas pour cela qu’on peut les trouver utiles en cas d’insurrection ou les considérer comme un instrument fondamental dans la définition de nos perspectives, voire comme quelque chose dont on pourrait disposer librement.
Les systèmes de communication de type virtuel ont connu un développement incroyable ces vingt dernières années dans la société où nous vivons, et imprègnent toujours davantage la réalité et le système de relations entre les personnes. On ne peut nier que de tels systèmes sont lentement entrés dans nos vies, conditionnant même inévitablement notre manière de nous relationner avec les autres, avec ce qui nous entoure, et avec les instruments télématiques eux-mêmes. Tout cela s’est produit malgré le fait que chacun est conscient que l’irréalité virtuelle est fonctionnelle au pouvoir et constitue une de ses forces.
Au cours de la dernière décennie, les moyens traditionnels de faire circuler nos idées, comme par exemple les journaux, les tracts, les affiches ou les livres ont été réduits, et la diffusion des idées elles-mêmes a été presqu’entièrement déléguée à l’univers virtuel. Il est plus que jamais indispensable de dépoussiérer les vieilles formes de rencontre et de communication entre compagnons, mais aussi d’en expérimenter de nouvelles, qui soient cette fois uniquement nôtres, et pas celles de l’ennemi. Il faut à nouveau se rencontrer et prendre le temps de le faire, même si c’est une chose toujours plus difficile à cause des rythmes imposés par la vie moderne, des rythmes qui sont plus ou moins volontairement devenus les nôtres.
On entend souvent des gens évoquer la possibilité d’exploiter lesinstruments télématiques dans des situations spécifiques, mais le fait de se retrouver face à face avec un usage presque quotidien d’internet, en particulier pour échanger des informations ou des idées, nous montre à quel point la réalité virtuelle parvient à conditionner de manière négative la façon même de se lier les uns aux autres. L’idée d’un bon usage de la réalité virtuelle dans une perspective révolutionnaire ne nous convainc pas, et nous pensons plutôt que prendre en considération une telle possibilité impliquerait de choisir des chemins qui n’offrent aucune garantie, parce que fonctionnels au capital et gérés par le pouvoir. La télématique et le développement technologique doivent au contraire devenir des cibles potentielles d’attaque.
Saboter la production
La machine du capital est alimentée par les structures de pouvoir (bureaucraties et institutions), les mécanismes de répression et de contrôle (prisons, tribunaux, forces militaires et de police, systèmes de surveillance), le travail, le consensus et la production. La critique radicale et les perspectives d’attaque doivent donc se développer à plusieurs niveaux, d’un point de vue aussi bien théorique que pratique. Le système de production et de consommation est en particulier ce qui lie et enchaîne directement les individus au capital et à ses différents aspects.
La création de faux besoins détermine la soumission, plus ou moins consciente, à l’exploitation salariée et aux logiques du colonialisme économique. La production d’énergie, les complexes industriels et les usines plus ou moins délocalisées, la diffusion de marchandises sont à la base du fonctionnement de ce monde-là.
C’est notamment dans cette direction qu’il faut agir, sans attendre que ce mur de marchandisation, qui pénètre chaque aspect de l’existence, nous tombe inexorablement dessus, pendant qu’on tente d’érafler sa surface plutôt que de s’en prendre à ses fondations, enterrant dans un même mouvement toute possibilité future d’attaque. Trouver, échanger et diffuser des informations pratiques et théoriques à ce propos, sur le repérage et l’utilisation d’instruments et de connaissances, est un des aspects qu’il nous semble indispensable de discuter et de développer.
On pourrait se poser des questions sur comment agir et attaquer, mais il est tout aussi important de se demander contre quoi agir et quels sont les objectifs à identifier, en s’appuyant sur la prise d’initiatives plutôt que de s’enfermer dans des logiques de ripostes. Notre environnement pullule de lieux où le capital prolifère. De lieux qui ont été créés, ou ont changé radicalement ces dernières décennies. Prenons rapidement un exemple pour mettre facilement en évidence certains des changements auxquels nous faisons référence : pensons à la différence qu’il y a entre des archives papier et les bases de données. Avant, l’incendie de documents dans le bureau municipal de l’état civil, d’un lieu de travail ou dans un gros complexe industriel pouvait représenter une action destructrice concrète. Aujourd’hui non, vu que les informations ou les archives sont conservées dans des bases de données, de petits instruments électroniques qui courent le long de kilomètres de câbles. Ne faudrait-il pas en tenir compte ? N’est-il pas évident que les changements de l’ennemi ont été radicaux et qu’on ne peut les ignorer, mais qu’il faut au contraire les approfondir et les connaître ? Nous ne voulons pas faire ici une énumération d’autres possibles objectifs d’attaque, parce que nous préférons laisser à chacun l’imagination dans la recherche et la créativité pour définir ses propres perspectives de révolte.
Un autre point sur lequel il nous intéresse de porter rapidement l’attention est la dimension internationale que doit prendre ou reprendre la perspective insurrectionnelle. Des occasions comme celle-là [à Zurich] permettent de se voir, de discuter, de se confronter entre compagnons de différents endroits, et peuvent constituer un point de départ pour l’approfondissement des relations futures, là où naît le besoin et là où on désire les approfondir. Mais la possibilité de tisser des rapports individuels ou entre différents contextes n’est pas l’objectif final, ce n’est qu’un préalable et un aspect de la dimension internationale à laquelle nous aspirons. Avoir des liens avec les compagnons qui vivent à l’extérieur ou s’échanger du matériel et des connaissances ne suffit pas en soi, il faut aussi que chacun de nous sache se projeter dans une optique d’observation et d’action qui dépasse les frontières territoriales.
Pour être plus clair, on peut penser à ce qui est arrivé en Grèce ces dernières années, à l’insurrection de décembre, aux mille attaques disséminées sur tout le territoire, à la conflictualité à répétition contre les forces de l’ordre et les différents symboles et lieux du pouvoir, aux pillages de supermarchés et à tant d’autres actions qui nous ont réchauffé le cœur et enflammé l’esprit. Des feux qui sont pourtant rarement sortis de nos esprits pour emprunter une dimension concrète. Les raisons sont diverses et différentes les unes des autres. Manque de contacts ? Réalité trop éloignée de la nôtre ? Conditions internesdifficilement déchiffrables ? Informations sporadiques et souventexclusivement liées à des sources officielles ? Oui, certes, ce sont des raisons qui ont certainement compté. Mais la première d’entre elles, celle qui a été déterminante, c’est le fait que nous n’étions pas, et ne sommes pas, préparés, et donc que nous sommes incapables de saisir des occasions.
Réussir à porter hors des frontières grecques une conflictualité permanente et des attaques ciblées, être capables de comprendre les contradictions que le capital développe un peu partout, être en mesure de contre-attaquer en ayant à disposition des informations et des instruments développés à l’avance, aurait pu faire la différence. C’est aussi en réfléchissant sur cette occasion manquée, mais on pourrait en citer beaucoup d’autres, qu’on peut comprendre à quel point il est nécessaire d’avoir la capacité de porter notre regard au-delà de ce qui se trouve dans l’environnement immédiat de chacun d’entre nous, et d’être prêts, d’être préparés.
A force de vouloir « en être », à travers la manie de vouloir participer à la possibilité de propager l’indignation, on risque de s’égarer entre les provocations du capital et des trajectoires de rue qui ne sont pas les nôtres. Nous n’avons aucun monde à sauver, ni de consciences à conquérir, ni de verbes à diffuser. Bien que la créativité comme facteur d’imprévisibilité soit fondamentale, les perspectives et les objectifs ne peuvent pas sortir à l’improviste de quelque chapeau magique, on ne peut pas s’abaisser à une quête obsessionnelle de rôles, de nombres et de présences. L’exploration de nouveaux sentiers d’attaque, l’exploration de nouveaux moyens, instruments et techniques liés non seulement à nos objectifs, mais aussi aux contextes et aux forces disponibles, demeure d’une importance primordiale.
Il existe des possibilités infinies d’intervention dans un sens critique et destructif par rapport à la réalité qui nous entoure, et en ce sens, nous pensons qu’il est important d’étendre et de diversifier les pratiques de conflit en tentant de les rendre, à chaque fois, reproductibles.
Palerme, 31 octobre
*** Nederlands ***
Bijdrage tot de internationale anarchistische bijeenkomst in Zurich
Als we proberen om de ons omringende werkelijkheid te lezen zien we dat er diepgaande transformaties in het beheer van de politieke en economische macht aan de gang zijn. Die veranderingen kennen hun neerslag ook op het sociale veld. Het is nodig om die transformaties te bekijken en er rekening mee te houden in onze analyses en aanvalsperspectieven.
Het kapitaal is niet in crisis, het zijn “simpelweg” de financiële keuzes van de staten die moeilijkheden veroorzaken in het traditionele beheer van de markt. Die keuzes hebben over het algemeen een verslechtering van de levensomstandigheden van de burgers-consumenten teweeggebracht. De door het kapitaal ontwikkelde tegenstellingen hebben in sommige zones bijgedragen tot het ontstaan van oproer, van min of meer zware en langdurige rellen tussen de waakhonden van de macht en haar structuren en de lagen van de bevolking die het beu zijn om uitgesloten te worden van de voorbijgestreefde beloftes van welzijn in de consumptiemaatschappij.
Het is dan ook nomaal dat we ons afvragen wat we tegenover dit alles kunnen doen. In het “hier en nu” handelen ligt aan de basis van ons verlangen naar een gewelddadige breuk met elk waardensysteem, met het kapitaal en haar afgeleiden.
In de lijn van deze bedenkingen en bij het omschrijven van perspectieven die ons kunnen oriënteren op onzekere en onbegane paden van revolte, achten we het noodzakelijk om te vermijden de werkelijkheid te benaderen met de geblinddoekte ogen van makkelijke enthousiasmes die achter elke hoek opstanden laten doorschijnen, medeplichtigen zien in elke indignado, revolutionaire subjecten in elke uitgebuite. Tegelijkertijd denken we dat het al even gevaarlijk is om in een soort van realistisch pessimisme verankerd te blijven dat riskeert ons immobiel te maken tegenover het tijdsverloop, ons te laten verworden tot afwachters die opgesloten zitten in één of andere deterministische logica.
Wij vinden het fundamenteel om ons in een optiek van lucide beschouwing te plaatsen die ons kan toelaten om de aan de gang zijnde transformaties te vatten, de kwetsbare aspecten van de vijand te identificeren en beter te kunnen inschatten wat en hoe aan te vallen.
In een mentale en materiële conditie waar de urgentie van het “erbij zijn” overheerst (en niet het zijn), dus van de definitie van een eigen rol binnen een mogelijke diffuse conflictualiteit, loopt men het risico om de centraliteit van de kwestie uit het oog te verliezen: de noodzaak om vanuit onszelf te vertrekken, van de eigen anarchistische ideeën en perspectieven. Daarom is het probleem van anarchisten in een situatie van spontane revolte niet het zoeken naar een rol naast andere rollen, een manier om zich door de anderen te doen aanvaarden, om aangenaam over te komen of om de eigen ware verlangens te verbergen en zo bondgenootschappen te kunnen beklinken. Het zou nuttig zijn om aanvalscondities te kiezen die een terugkeer naar de normaliteit verhinderen, het handelen dat ons toebehoort te experimenteren, doelwitten te vinden die door de spontaneïteit alleen niet kunnen gevonden worden. Eender welke insurrectionele hypothese is onvoorzienbaar, onafhankelijk van ons, maar als anarchisten kunnen we binnen een optiek van permanente conflictualiteit en het uitwerken van insurrectionele projecten zeker een fundamentele bijdrage leveren aan wat er aan de gang is.
De vraag die we ons moeten stellen is volgens ons niet zozeer hoe we ons verhouden tot de mogelijkheden van revolte in de straat, van territoriale en/of specifieke strijden die zich zouden kunnen radicaliseren en verspreiden, maar wel hoe we in een praktische en theoretische dimensie kunnen blijven handelen en aanvallen, in het licht van de aan de gang zijnde transformaties in de maatschappij en in de mechanismes van de overheersing.
Het analyseren van de praktijken en strijdparcours in verhouding tot de doelwitten is een fundamenteel onderdeel van een discours dat de limieten en perspectieven in de theorie en praktijk van de sociale subversie wil achterhalen. Om de verschillende vragen en voorstellen die we hier willen opwerpen beter aan te raken, lichten we hier een aantal punten uit de redeneringen die we aan de kameraden willen voorleggen.
We denken dat we dringend de kwestie van de communicatiemanieren onder kameraden op tafel moeten leggen. Het probleem kan benaderd worden door het onderscheiden van twee aspecten: de manieren waarop we beslissen te communiceren en de waarde die we toekennen aan de instrumenten die we beslissen te gebruiken. We verwijzen meer specifiek naar het gebruik van het telecommunicatieweb en de manier waarop we ons daartoe verhouden. Ons gebruik van die instrumenten, al is het maar op kleine schaal, is een gegeven feit, maar dat is zeker nog geen reden om ze als nuttig te beschouwen in het geval van opstanden of als fundamenteel instrument voor de uitwerking van onze perspectieven, of meer nog, als iets waarover we vrijelijk kunnen beschikken.
De virtuele communicatiesystemen hebben de laatste twintig jaar een ongelooflijke ontwikkeling gekend in de maatschappij waarin we leven en dringen elke dag een beetje meer door in de werkelijkheid en in de verhoudingen tussen de mensen. We kunnen niet ontkennen dat zulke systemen langzaam maar zeker in onze levens zijn binnengedrongen en onvermijdelijk ook onze verhoudingen tot anderen conditioneren, tot wat ons omringt en tot de telecommunicatie-instrumenten zelf. Dit alles geschiedde hoewel ieder van ons zich ervan bewust is dat de virtuele irrealiteit de macht dient en er de kracht van is.
In het laatste decennium zijn de traditionele methodes waarmee we ideeën verspreiden zoals bijvoorbeeld kranten, pamfletten, posters, boeken gevoelig afgenomen en werd de verspreiding van ideeën bijna volledig naar het virtuele universum overgeheveld. Het is meer dan ooit noodzakelijk om opnieuw de oude vormen van ontmoeting en communicatie onder kameraden vanonder het stof te halen en nieuwe vormen te experimenteren die echter alleen van ons zijn en niet van de vijand. Elkaar opnieuw ontmoeten en er de tijd voor nemen, iets wat alsmaar meer wordt bemoeilijkt door de ritmes die het moderne leven ons oplegt, ritmes die we ons min of meer bewust eigen hebben gemaakt.
Het gebeurt vaak dat je iemand de mogelijkheden hoort overwegen om de telecommunicatie-instrumenten in specifieke situaties te benutten, maar oog in oog staan met een bijna dagelijks gebruik van het internet, in het bijzonder voor de uitwisseling van informatie en ideeën, heeft aangetoond hoezeer de virtuele realiteit erin slaagt om op een negatieve manier de
manier waarop we ons tot elkaar verhouden te beïnvloeden. De idee van een goed gebruik van de virtuele realiteit in een revolutionair perspectief kan ons niet overtuigen, wij geloven in feite dat het overwegen van die mogelijkheid neerkomt op de keuze voor wegen die geen enkele garantie bieden omdat ze functioneel zijn voor het kapitaal en beheerd worden door de macht. De telecommunicatie en de technologische ontwikkeling moeten potentiële aanvalsdoelwitten zijn.
De productie saboteren.
De machine van het kapitaal voedt zich dankzij de structuren van de macht (bureaucratieën en instellingen), repressie- en controlemechanismen (gevangenissen, rechtbanken, militaire en politionele strijdkrachten, bewakingssystemen), het werk, de consensus, de productie. De radicale kritiek en de aanvalsperspectieven moeten dus op meerdere terreinen ontwikkeld worden, zowel op theoretisch als op praktisch vlak. Meer in het bijzonder is het het productie- en consumptiesysteem dat de individuen direct aan het kapitaal en haar afgeleiden ketent. De creatie van valse noden bepaalt de min of meer bewuste onderwerping aan de uitbuiting op het werk, aan de logica van economisch kolonialisme. De energieproductie, de min of meer gedelokaliseerde industrie- en fabriekscomplexen, de verspreiding van de koopwaar liggen aan de basis van het functioneren van deze wereld.
En het is in die richting dat we moeten handelen, zonder af te wachten tot die muur van koopwaarisering die in elk aspect van het bestaan aan het doordringen is boven ons instort terwijl we die proberen te ondergraven door naar de oppervlakte te kijken in plaats van naar de fundamenten en zo elke mogelijkheid tot toekomstige aanvalspoging begraven. Praktische en theoretische informatie bekomen, informatie uitwisselen en verspreiden over waar je middelen en kennis kan vinden en hoe je ze kan gebruiken, is één van de aspecten die we willen bediscussiëren en ontwikkelen.
We kunnen ons vragen stellen over hoe te handelen en hoe aan te vallen, maar het is al even belangrijk om ons af te vragen waartegen te handelen en welke doelwitten te identificeren en daarbij eerder op het initiatief aan te sturen dan zich op te sluiten in een antwoordlogica. Rondom ons puilt het uit van plaatsen waarlangs het kapitaal zich uitstrekt. De laatste decennia ontstonden of muteerden deze plaatsen op radicale wijze. Laten we een kort voorbeeld geven om enkele van de veranderingen waarover we het hier hebben aan te halen. Denk aan het verschil tussen papieren archieven en databases. In het verleden kon het verbranden van documentatie in de kantoren van de dienst bevolking, in een werkplaats, in een groot industriecomplex een concrete vernietigende actie zijn. Vandaag niet, want de informatie en gegevens worden bewaard in databases, in kleine elektronische instrumenten en lopen langs kilometers kabel. Is het soms niet nodig om daar rekening mee te houden? Is het soms niet overduidelijk dat de veranderingen van de vijand radicaal zijn geweest en niet opzijgeschoven kunnen worden, en dat het nodig is om die uit te diepen en te kennen?
We willen hier geen opsomming maken van de mogelijke aanvalsobjectieven, we verkiezen dat over te laten aan ieders fantasie in de zoektocht en creativiteit in het uitwerken van de eigen perspectieven van revolte. Een ander punt waarop we kort de aandacht zouden willen vestigen is de internationale dimensie die een insurrectioneel perspectief moet aannemen of opnieuw moet hebben. Gelegenheden als deze ontmoeting laten toen om elkaar te zien, te discussiëren, te spreken onder kameraden vanuit verschillende plekken. Het zou een vertrekpunt moeten zijn voor het uitdiepen van verdere relaties. Maar de mogelijkheid tot het smeden van individuele banden of tussen verschillende realiteiten is niet het finale doel, maar een vooronderstelling en een aspect van de internationalistische dimensie waar we naar streven. Banden onderhouden met kameraden die in het buitenland leven of materiaal en kennis uitwisselen volstaat niet, ieder van ons moet zich ook weten te projecteren in een optiek van observatie en actie die de territoriale grenzen overstijgt.
Om dit beter uit te leggen, kunnen we bijvoorbeeld denken aan wat er in de laatste jaren in Griekenland gebeurd is, aan de opstand van december, aan de duizend aanvallen verspreid over het territorium, aan de herhaaldelijke conflictualiteit met de ordediensten en de verschillende symbolen en plaatsen van de macht, aan de plunderingen van supermarkten en zovele andere acties die het hart verwarmen en de geest in vuur en vlam zetten. Vlammen die echter maar zelden uit onze geesten zijn gekomen en een concrete dimensie hebben aangenomen. De redenen daarvoor zijn uiteenlopend en onderling verschillend. Gebrek aan contacten? Een werkelijkheid die te ver is van de onze? Interne omstandigheden die moeilijk te ontwarren vallen? Sporadische berichten die vaak exclusief afkomstig zijn uit de bronnen van de macht? Zeker, dat zijn redenen die waarschijnlijk gewogen hebben. Maar het is voor alles het feit dat we niet voorbereid waren, en niet zijn, dat gemaakt heeft dat we niet in staat waren om die gelegenheden aan te grijpen. Erin slagen om een permanente conflictualiteit en gerichte aanvallen buiten de Griekse grenzen te brengen, in staat zijn om de tegenstellingen die het kapitaal zowat overal an het voortbrengen is te begrijpen, in staat zijn om de tegenaanval in te zetten door informatie en op voorhand uitgewerkte instrumenten ter beschikking te hebben zou het verschil hebben kunnen maken. En als je nadenkt over deze gemiste gelegenheid, maar je zou er nog veel andere kunnen aanhalen, kan je begrijpen hoe nodig het is om het vermogen te hebben om de blik verder te richten dan de dingen die kort rondom ons liggen en klaar te staan, voorbereid te zijn.
In de urgentie om erbij te willen zijn, in de manie om deel te nemen aan de mogelijkheden tot het uitdijnen van de verontwaardiging loopt men het risico om verloren te lopen tussen de provocaties van het kapitaal en de wegtrajecten die ons niet toebehoren. We hebben geen wereld te redden, geen bewustzijns te veroveren, geen ordewoorden te verspreiden. Hoe fundamenteel de creativiteit ook mag zijn (die trouwens mede de onvoorspelbaarheid bepaald) kunnen de perspectieven en doelwitten niet uit één of andere magische hoed getoverd worden. We mogen niet vervallen in een obsessieve zoektocht naar rollen, aantallen en aanwezigheden. Het is belangrijk om nieuwe aanvalswegen te verkennen, nieuwe middelen, instrumenten en technieken uit te proberen niet enkel in verhouding tot de doelwitten, maar ook tot de context en de beschikbare krachten.
Er bestaan eindeloze mogelijkheden voor kritische en destructieve interventie in de werkelijkheid die ons omringt, en in die zin vinden we het belangrijk om de praktijken van conflict uit te breiden en te diversifiëren, in een poging om ze reproduceerbaar te maken.
Palermo, 31 oktober.